• EFFIMERO E SOCIETA' CONTEMPORANEA

    Leone Podrini

    La società attuale, dominata dal culto del superfluo e nella quale si assiste generalmente a un rapido mutamento di valori e di modelli comportamentali della vita quotidiana, cambia  velocemente e radicalmente i significati e i riti che accompagnano le sue diverse manifestazioni.
    La nostra civiltà non è più ossessionata o intimorita dall’idea del permanente, non ricerca più l’eterno e l’immutabile, ha sottovalutato la necessità del mistico e dello spirituale e si è abituata ad apprezzare i vantaggi, veri o presunti, degli oggetti nati per avere vita breve.
    Ciò per la capacità che questi hanno di adattarsi più facilmente alle necessità e ai bisogni indotti dalla società dei consumi, che produce e usa questi oggetti proprio per soddisfare questi bisogni.
    Creati ognuno in precisi ambiti per specifici usi e dopo accurate indagini sociologiche, essi si rivelano più adatti ed esaurienti delle cose pensate con la prospettiva del “sempre” e “ovunque” e, mantenuti con un linguaggio di fondo costante attraverso i mass-media, sono divenuti parte integrante della vita dell’uomo che ha teorizzato il fenomeno e ne ha preso coscienza.
    Il concetto di effimero si è così affermato, e i parametri che governano il nostro operare sono così mutevoli e transitori, da essere per forza rappresentati da una realtà altrettanto mutevole e transitoria che ha senso solo se concepita nell’ottica del sempre nuovo e diverso.
    Questo perché la società si trasforma con ritmi così veloci, ormai quotidiani, che quasi non riusciamo a percepirne le mutazioni; sembra che ogni singolo “pezzo” del mondo in cui ci muoviamo, ogni singola azione che in esso compiamo, debbano essere assunti come prova tangibile del nostro “esserci”. E sembra che il diffondersi dilagante dell’effimero nella nostra cultura costituisca l’unico mezza per bloccare, in un flash spazio-temporale, i singoli atti che compongono la nostra quotidianità.
    Un simile atteggiamento rivela l’instabilità dell’uomo moderno, non più appagato dalla realtà che lo circonda, sempre meno sostenuto da valori fermi e da ideali saldi a cui riferirsi, sopraffatto da una società che non cerca di darsi un senso e una identità perché dominata da un grande deserto emozionale e mentale, da una tribalità ossessiva e selvaggia, tutta tesa al pragmatismo, avulsa da conflitti intellettuali ed estetici.
    Il feticcio di questo mondo frenetico, irreale, fantasmagorico è la novità, l’avere tutto come tutti; e a questo vortice di continue esigenze nessuno sembra più in grado di sottrarsi e, anzi, tutta la società ne rimane plasmata e modificata.
    Questa tendenza divoratrice del continuamente nuovo assume ritmi sempre più veloci; le mode cambiano e con esse cambia il gusto, ma cambiano anche molti dei valori su cui si fonda la nostra civiltà.
    Nella cultura della velocità, della trasformazione, della partecipazione, del continuo rivoltarsi di comportamenti e tendenze, della rapida circolazione delle idee, tutto deve essere espresso, tutto       deve venire alla luce e il frenetico susseguirsi di avvenimenti di breve durata, l’affermarsi di questa atemporalità delle cose, trova concretizzazione, realizzazione e fertile terreno di propaganda proprio nell’effimero che si presta perfettamente a questo gioco.
    L’effimero è ovunque: esso è uscito dal suo originale spazio concettuale per propagarsi in ogni direzione e investire la nostra realtà con condizionamenti divenuti automazione inconscia, insinuandosi nella memoria e sostituendosi al senso della storia alla tangibilità del costruito, alla consistente irrinunciabilità delle stratificazioni culturali.
    Il niente diventa tutto; il caduco diviene il definitivo dell’oggetto di consumo di oggi che, per la sua continua riproducibilità, diventa permanente, eterno, immortale.  
    Buona parte del prodotto odierno è, in un certo senso, effimero in quanto risponde a esigenze peculiari di un momento culturale specifico che muta in continuazione, rendendo rapidamente obsoleti anche gli oggetti stessi che lo rappresentano; e forse è questo cambiamento del suo concetto originale, questa sua generale diffusione a crearci i maggiori problemi nell’accettarne la prepotente affermazione.
    L’effimero e il duraturo di oggi sono talmente condizionati dalle esigenze della produzione, che nemmeno il loro significato è più definibile con la precisione di un tempo.
    Ogni oggetto consumistico, ogni prodotto dell’industria, non sostiene più la propria essenza con l’individualità che lo contraddistingue; la sua forza persuasiva non deriva più dalla propria particolare caratteristica, ma dalla sua riproposizione seriale. Il suo potere sta nella ossessiva ripetizione di sé stesso che ne perpetua l’esistenza in quanto, ogni oggetto che esaurisce il suo ciclo d’uso, in realtà è come se non finisse mai perché continua a esistere nei milioni                      di oggetti che costituiscono la sua copia.
    Nella logica della ripetizione e riproduzione, essi finiscono così per perdere ogni significato che non sia quello specifico della loro funzione: sono uguali per tutti, non possono più essere espressione fisica e tangibile di un ricordo perché il loro travolgente riprodursi non permette di riversare su di essi le sensazioni legate ai fatti della vita. La possibilità di sostituirli, li scarica dell’unicità che ne giustifica il valore affettivo; ed è come se tutto rimanesse anonimo e impersonale nella invariabilità della ripetizione.
    L’effimero di oggi ha paradossalmente assunto il carattere del permanente e, così concepito, riduce la propria incisività sul sociale, deviandola: non ne favorisce cioè la trasformazione che sembrerebbe poter derivare dalla possibilità, con il modello della ripetitività infinita, di raggiungere ogni utente e stimolarne la crescita culturale.                   
    L’asservimento sempre più esasperato alle leggi del consumismo, non fa che favorire e accelerare il processori disgregazione dei valori tradizionali e l’affermazione del culto indiscriminato del superfluo.
    E’ per questo che l’effimero moderno, se non è ricondotto negli ambiti specifici della dell’occasionale o, al contrario, se non è proiettato verso l’evoluzione del suo significato che potrebbe trasformarlo in prodotto d’uso recuperabile nella funzione, non può produrre che insicurezza, crisi economica, decadimento morale, trovandosi perfettamente a suo agio in una realtà che, regolata dalla logica della obsolescenza programmata, concentra la propria attenzione verso l’effimero superfluo, individuale, ripetitivo, non durevole, da consumare velocemente.
    E’ questa la nuova regola che, innescando un meccanismo perverso e finora inarrestabile basato sull’annullamento di ogni esigenza di durata, costringe l’industria a rimuovere continuamente e freneticamente il prodotto.
    E anzi, rivelatasi ormai insufficiente anche la riproduzione seriale delle cose – per l’affermarsi di una nuova esigenza dell’utenza ormai non più stimolata dall’abbondante ripetitività che gli ha procurato assuefazione – è spinta a focalizzare i propri sforzi verso un consumismo che potremmo definire specializzato e a ricercare il  personalizzato e il diverso anche nella serialità del prodotto.
     E’ a questo punto che entra in gioco il design, intelligentemente e    opportunamente adottato dal mercato che, costretto alla diversificazione dell’uguale, propone gamme sempre più vaste di modelli e versioni aggiornate, distinte soltanto da piccoli dettagli estetici che non modificano il prodotto nella propria consistenza e permettono di immettere sul mercato il “falso esclusivo” e il “diverso riciclato”.
    La tecnologia si è dunque specializzata a replicare il differente con l’aiuto del design, visto che il consumatore tende oggi a rivolgere la propria attenzione verso l’estetica delle cose, privilegiando il gusto formale e la soddisfazione del ben fatto che, un tempo, erano appannaggio esclusivo dell’ambito artistico.
    L’arte diventa così un punto di riferimento per la qualità: essa viene usata per allenare al bello l’occhio del consumatore, viene strumentalizzata e asservita al potere economico  a tal punto che la stessa Pop – Art non sarebbe stata possibile se non all’interno di un contesto nel quale il consumismo imperante caratterizza tutto il sociale.
    Di origine inglese, la Popular – Art trova rapidamente negli Stati Unitiil suo terreno di crescita più fertile, perché calata in una realtà sociale nella quale l’assenza di vincoli storico-artistici favorisce lo svilupparsi del pragmatismo comportamentale tipico di quel popolo.
    L’inconsistenza della tradizione culturale, il rapido mutamento delle idee e il conseguente adattamento alle continue “nuove invenzioni” della società americana, ne facilitano il processo affermativo anticipando, già al suo nascere, quelle che saranno le caratteristiche costanti di tutta la cultura occidentale che ha fatto dell’immaginario collettivo condizionato dalla pubblicità, la base empirica dei propri caratteri peculiari.
    Riferendosi alla realtà del consueto e del quotidiano, la Pop-Art ripropone un reportage obiettivo di tutto ciò che all’americano moderno viene ossessivamente trasmesso attraverso i mass-media e, innalzando al ruolo di arte la banalità dell’oggetto d’uso attraverso la sua rappresentazione figurata, compie una sorta di modificazione del concetto di estetica rivalutandone non solo il senso generico, ma anche quello contestuale che ne precisa il valore semantico.
    Per l’arte popolare considerare un prodotto o un oggetto singolarmente, equivale a svuotarlo di ogni significato e a spezzare la relazione che ne giustifica l’esistenza come parte di un insieme.
    Gli artisti della Pop-Art si muovono perciò all’interno della vertigine produttiva del mondo quotidiano, prelevando oggetti d’uso dei quali esasperano l’uguaglianza con la ripetizione ossessiva o esaltano la singolarità con la rappresentazione di copie minuziosamente pittoriche senza operare nessuna denuncia ideologica né, tantomeno, azioni di carattere utopico. Cosa distingue Andy Warhol, con le sue insistenti immagini replicate, o Liechtenstein con i suoi ingrandimenti estremi di particolari di immagini tratte dai fumetti o, ancora, Oldemburg con le sue sculture giganti di dentifrici, hamburger, macchine per scrivere, dai grandi maestri della classicità, quando l’arte doveva testimoniare la gloria di Dio o la grandezza di una dinastia? Gli artisti del tempo tendevano a garantirsi l’immortalità attraverso la rappresentazione, nelle loro opere, di soggetti con un senso profondo, universale, in grado di sfidare i secoli; l’obiettivo della creazione artistica era quindi il futuro e non il presente, quel presente effimero che costituisce, invece, l’essenza culturale di alcune espressioni dell’arte contemporanea e dell’Arte Pop in particolare.
    Il design e l’arte si scambiano oggi i ruoli e le reciproche relazioni, attuando quella “acculturazione” che permette al consumatore di guardare con occhio diverso il mondo delle forme e degli oggetti di consumo e di fare la propria scelta personalizzando il prodotto e affermando la propria individualità.
    Affinchè questo avvenga, il design deve però rinunciare alla sua caratteristica di fenomeno legato al miglioramento qualitativo dell’oggetto d’uso industriale, cambiare la sua ideologia e trasformarsi da complemento estetico della funzionalità a mezzo di esaltazione dell’esteriore. La forma non segue più la funzione ma, di nuovo, la funzione segue la forma, perché l’immagine del prodotto diventa un elemento indispensabile per garantire lo spazio in un mercato inflazionato di proposte.
    Sono perciò i desideri o le velleità pseudoartistiche dei consumatori a modificare le logiche della produzione; l’uscita di un modello è quasi sempre seguita a breve scadenza dalla presentazione di un modello successivo che, modificato solo nell’immagine, viene proposto come rinnovato e tecnologicamente più avanzato, così che il processo di miglioramento diventa infinito.
    La cultura dell’effimero si è affermata per questo: essa rappresenta la rivolta contro quella che, fino dagli anni ’70, era considerata la dittatura della produzione, il dominio di un mondo controllato dalla necessità dell’industria a cui, oggi, se ne contrappone uno legato alle intransigenti richieste dell’individuo che, per la prima volta, riesce ad attirare su di sé tutta l’attenzione del mercato.
    Questa inversione di tendenza, questo mutamento del soggetto conseguente all’affermarsi della seduzione dell’effimero, condiziona la cosiddetta cultura di massa conferendole nuove connotazioni e nuove identità, tutte caratterizzate dalla cultura dell’immagine e dalla convinzione della necessità del rinnovamento accelerato.
    Un mondo effimero, dunque, in cui il ciclo di ogni evento culturale resiste in auge per tempi ridottissimi e nel quale è necessario sfornare a gettito continuo idoli e feticci che devono in continuazione “rigenerarsi” nella ricerca ossessiva della originalità a tutti i costi, per non essere travolti dal disinteresse generale considerato, oggi, il peggiore di tutti i mali.
                               
    Da “Materiale e immateriale. L’effimero nell’architettura contemporanea”
    Leone Podrini. Maggioli editore, Rimini 1995

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