• LUOGO E IDENTITA'

    Leone Podrini

    Sarebbe bello vivere in un mondo nel quale, non più abbagliato dall’immateriale, l’uomo si renda conto, finalmente,  della  necessità di incontrarsi visivamente, tattilmente e per mezzo della parola con gli altri, con i loro movimenti, con il loro espandersi, con il loro occupare lo spazio o abbandonarlo, emettere suoni, radiazioni….
    Lo spazio entro il quale viviamo, è fatto di ciò; il suo rispondere ai nostri differenti piani di vita è fatto delle sue modificazioni e, così descritto, lo spazio rappresenta l’”essenza fisica” che l’uomo usa nella città e, per suo tramite, acquisisce la capacità di caratterizzare il sito e di tradurre nello spazio l’identità di un luogo.
    Con questi assunti, l’obiettivo dell’uomo dovrebbe essere quello di dare allo spazio comune misura, forma e un uso più appropriato rispetto alle funzioni consuete che sono quelle della sosta, del ritrovo, del gioco per i bambini, dello svolgimento di spettacoli, manifestazioni all’aperto e altro.
    Lo spazio comune sarebbe così percepito come elemento generatore di sensazioni mai identiche, sempre “determinate dall’intorno” oltre che dalle stagioni, dal tempo, dallo stato d’animo, dal pensiero del giorno e da quello della sera, dalla quotidianità e dall’evento.   
    E “determinate dall’intorno”, significa contornate e completate da “oggetti” significativi, non banali, che possano dare una risposta concreta , materiale, a domande sociali ormai da molto tempo chiare nei loro termini essenziali.
    Lo spazio – piazza, ad esempio, definito sui quattro lati dagli edifici residenziali e commerciali, viene geometrizzato e assume connotazioni diverse per le diverse relazioni che questo viene ad avere con ognuno degli episodi che su questa si affacciano.
    Visti dalla piazza, gli edifici che la circondano sono geometrie costruite come gesto di possesso e di dominio spaziale; quelli antichi, “sono” il tempo trascorso ancora utile e vitale; quelli nuovi o recenti, “sono” la contemporaneità che si sviluppa come un teorema o, piuttosto, come un capriccio che scompone e ricompone con logica sempre mutevole lo spazio sul quale si affacciano,  fino a cavarne effetti moltiplicati, nel ricordo di modi compositivi trascorsi; il perimetro della piazza, è il confine individuato, il punto di riferimento su cui misurare gli sguardi ed i passi.
    Vista dagli edifici, la piazza è invece il largo di grande respiro, lo spazio di risonanza degli edifici stessi, il tono accogliente della compagine edilizia, lo spazio rappresentativo oltre che la pausa nel tessuto residenziale. 
    Spazio comune, dunque, a destinazioni multiple, capace di dare un cuore pulsante all’intero contesto urbano che lo contiene, che rende possibile l’intreccio delle funzioni, in cui l’uomo può sentirsi protagonista, dove si può sostare seduti intorno al tavolo di un caffè, darsi appuntamento, passeggiare la sera alla luce delle vetrine dei negozi o, quando gli edifici ne sono forniti, nello spazio interno del porticato che circonda la piazza e la definisce in una dimensione propria, con la volontà di stabilire un dentro e un fuori, di perimetrare un largo altrimenti solo sporgente ed ambiguo.
    Si risolve, così, il bisogno di stabilire confini, punti di riferimento su cui misurare gli sguardi ed i passi, geometrie costruite come gesto di possesso e di dominio spaziale e lo spazio vuoto, “inedificato”, torna ad avere , nel solco della tradizione della città, una sua identità.

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