• IL MESTIERE DELL'ARCHITETTO

    Leone Podrini

    “Attraverso l’architettura, non si cammina senza spine, senza croci e tormenti, senza lavoro e affanni”.
    Avrei voluto fare l’architetto con un minore coinvolgimento emotivo, anche se ho sempre avuto la consapevolezza che non puoi fare questo lavoro se non ami l’architettura in modo viscerale, se questa non è per te la ragione stessa della vita.
    Fare l’architetto non è come fare un qualunque altro lavoro, perché l’architettura è un “avvenimento” che trova la sua collocazione nel pubblico e coinvolge il sociale.
    L’operare dell’architetto interessa l’uomo perché definisce relazioni con la sua cultura e attraverso l’opera di architettura, che rispecchia con le sue forme il sociale nel quale si sviluppa, esprime episodi etici prima che estetici.
    L’architettura è ricerca continua, costante, mai definita e definitiva; ed è soprattutto sensazione, qualche volta gioia e quasi sempre sofferenza.
    L’architetto, quando si guarda attorno, quando passeggia, quando viaggia, quando parla anche di cose futili, quando mangia o si riposa …..insomma, qualunque cosa faccia, lo fa senza dimenticarsi mai dell’architettura.
    Il suo cervello è come sezionato, diviso in parti e i due terzi di queste parti sono costantemente occupate dall’architettura; è il terzo rimanente che si occupa di tutto il resto.
    L’architettura è sofferenza perché ogni progetto rifiutato o non realizzato è un dolore struggente; ogni opera è come un figlio a cui hai dato l’anima. Per questo, il mestiere dell’architetto non si fa senza tormenti, senza affanni, senza insoddisfazioni; non puoi essere “sereno” quando progetti, come non puoi essere “sereno” quando fai qualunque cosa che abbia a che fare con l’arte.
    Sono il tormento e l’insoddisfazione a tirarti fuori quello che hai dentro….Pensi all’architettura e nella tua mente si affacciano immagini sempre nuove, frutto del rapporto continuo con questa, immagini che evolvono continuamente, che ti fanno capire che c’è ancora tanto da scoprire…..e ti rendi conto immediatamente che la vita intera non ti sarà sufficiente per esplorarla, capirla e contribuire a evolverla, migliorarla, adattarla continuamente alla società che cambia.
    E questo naturalmente rattrista, specie se ti rendi conto che il tuo contributo rimane nell’ambito ristretto del tuo fare, è inefficace, non incisivo, non in grado di contribuire a produrre anche il cambiamento più lieve anche se, nel tuo intimo, cerchi di convincerti che il ruolo dell’architetto è comunque quello di operare, pur “costretto” nei limiti ridotti del suo ambito quotidiano, per contribuire al miglioramento della qualità che viene dalla ricerca continua, dall’amore per l’architettura e dall'abitudine a considerarla poesia.
    Ecco: questo è stata per me l’architettura.

     

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