• LA CAPITOLAZIONE DEGLI ARCHITETTI ITALIANI

    Leone Podrini 

    Abbiamo capitolato.
    Diciamoci la verita’: ci siamo arresi alla burocrazia e al potere delle norme create solo a protezione del culo dei politici.
    Ci hanno trasformati da architetti a sterili e infecondi controllori della giusta applicazione delle innumerevoli “norme tecniche di attuazione” che hanno ucciso l’architettura e non abbiamo detto o fatto nulla per ribellarci.
    La progettazione di un buon edificio in Italia, oggi,  è meno importante della corretta compilazione di uno dei tanti documenti che accompagnano l’iter di approvazione di una pratica edilizia.
    Altro che necessità, come ha detto qualcuno, di un nuovo grande rinascimento per l’architettura italiana.
    Se ci guardiamo indietro per vedere che cosa è stato realizzato negli ultimi vent’anni, troviamo che la figura dell'architetto che perdeva l’anima per progettare edifici in grado di denunciare con chiarezza la propria linea di pensiero - e quindi il proprio livello culturale e la propria collocazione nel dibattito di ciò che deve essere o non deve essere l’architettura - è del tutto scomparsa.
    Per contro, però, ciò di cui possiamo essere certi è che le norme sono tutte rispettate perché questo viene chiaramente denunciato dalla scadente qualità formale di quei pochi edifici che vengono realizzati.
    Abbiamo capitolato, senza se e senza ma.
    Ci avevano e abbiamo insegnato che gli architetti devono avere, come obiettivo primario  nei confronti del proprio lavoro, quello di fare scelte decisive tra posizioni alternative che li portino a individuare e definire quale percorso intendono fare all’interno dell’architettura in quanto tale.
    La burocrazia e i vincoli salvaculo hanno del tutto eliminato questo tipo di ”autoimposizione” culturale.
    Invece di essere stimolati a riflettere per dare credibilità  alla ricerca sulle “ragioni sane” della propria architettura  e tradurle -  nella pratica progettuale -  nella migliore qualità possibile rispetto alle necessità del nostro tempo, lo sforzo a cui ci hanno obbligato è quello di concentrarci sulla corretta applicazione delle norme con il risultato di rendere di grande attualità l’affermazione di Friedrich Schlegel “Molte opere degli antichi sono divenute frammenti, mentre molte opere dei moderni lo sono al loro nascere”.
    Sono finiti i tempi dell’architetto “rivoluzionario” per temperamento, “eccentrico” per definizione, un pò “artista” per posa, ma sempre pervaso, però, dalla convinzione che la sua missione fosse quella di cambiare la società con la buona architettura (anche se a volte non teneva nel dovuto conto che la forma migliore di lotta non era nella spettacolarizzazione dell’architettura e nella esibizione provocatrice, ma nella ricerca del migliore vivere umano attraverso un’architettura più a misura d’uomo, più poetica e, soprattutto,  meno caotica e aggressiva).
    Invece, anche noi architetti ci siamo “adeguati” al potere politico o, per meglio dire, ci siamo asserviti alla politica e abbiamo abdicato, ci siamo adattati e abbiamo smesso di lottare.
    Amen.

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