• DINAMICA, MUTEVOLE, ADATTABILE....MAI STATICA

    Leone Podrini

    Ho già detto, in altra occasione, che non avrei dovuto dipingere solo per me stesso perché oggi, quando ormai è troppo tardi, mi rendo conto che se mi fossi sottoposto al giudizio degli altri, se avessi cioè dipinto “allo scoperto”, avrei potuto ricevere dall’arte molto di più. Non in termini economici, perché ciò avrebbe comportato la necessità di essere “noto” o, come si dice, “quotato” e ciò non è detto che sarebbe avvenuto, ma in termini di arricchimento culturale, di coinvolgimento emotivo e, dunque, di appagamento intimo, spirituale.
    Avrei di certo migliorato e arricchito la mia capacità creativa, se non altro nella tecnica e avrei  meglio capito  in che modo tenere in debita considerazione tutte le esigenze dei sentimenti che mi coinvolgono durante la realizzazione di un’opera.
    Trasferire su una tela una sensazione, costituisce il mezzo immediato per tradurre o trasferire automaticamente le  mie “fantasie artistiche” in un processo con cui, partendo da una prepotente immaginazione “soggettiva”, le mie idee si trasformano in una “espressione materiale” che è appunto il prodotto artistico, il dipinto.
    Questo processo è però anche il frutto di un esercizio continuo, del confronto - scontro emotivo con l’opera prodotta, che genera in me e, credo, nell’artista in genere, la capacità  di renderla dinamica anche nella sua apparente staticità. 
    Tutti pensano che l’opera d’arte, che si tratti di pittura o di scultura, sia caratterizzata dalla staticità, dalla “appartenenza” al periodo della sua creazione o che, al limite, possa anche andare oltre quel periodo, ma in modo inequivocabilmente statico.
    E questo modo di pensare non è solo riferito alla relazione dell’opera con il tempo, ma anche al rapporto dell’opera con il suo autore che, dopo averla completata, sembrerebbe non avere più alcun legame e alcuna relazione fisica con essa; ovvero, quando l’opera è finita, si è indotti a pensare che questa, da quel momento, non può che cominciare a invecchiare in modo statico, come il tempo che invecchia se stesso e tutte le cose.
    Invece, a mio modo di vedere, l’opera continua a essere in movimento, ancora dinamica perché continuamente trasformata dalla mia mente che la  modifica adattandola idealmente al mio “pensare” che muta e si evolve.
    E’ una dinamicità che potrebbe apparire frustrante perché caratterizzata dalla incapacità di trasformare anche l’opera, oltre al pensiero, nel suo essere, nella sua matericità, nella sua essenza fisica. 
    La staticità dell’opera d’arte è invece apparente e non riduttiva rispetto all’opera stessa, perché è una staticità di natura puramente fisica, materiale ma non intellettuale perché le sensazioni, il coinvolgimento interiore, non ne vengono coinvolti o intaccati.
    Naturalmente le due condizioni, l’opera realizzata e quella modificata dalla mia mente, non aggiungono o tolgono nulla all’opera stessa; sotto l’influenza del mio stesso pensiero, mi muovo costantemente fra l’opera finita e le sue nuove visioni, confrontandole, correggendole e aggiornandole e, anche se viene distrutta, l’opera rifatta o ripensata in sua vece, viene recepita come un organismo in movimento continuo, dinamico appunto, anche se totalmente differente dalla  primitiva.
    La mia mente e la mia fantasia, non ricercano solo l’essenza reale delle mie sensazioni, alle quali si potrebbero anche aggiungere, emendate e migliorate simultaneamente, le dimensioni “simboliche”, “soggettive” o “iconiche” dei soggetti che rappresento nei dipinti, ma anche il loro limite spaziale, la forza emotiva dei materiali che impiego, l’efficacia della modalità di rappresentazione, la capacità espressiva di una nuova tecnica, di un nuovo tema o di un nuovo messaggio da trasmettere attraverso l’immaginario indotto dall’opera, di una nuova dimensione spirituale che confluisce in essa.
    Dalla sua creazione e durante la sua esistenza, dunque, l’opera d’arte non è mai a riposo e mai nei limiti dello spazio razionalmente rigoroso, geometrico e ordinato che si ritiene essere la sua “essenza materiale reale” perché a questa, vanno aggiunte le sue dimensioni “simboliche” che la dilatano non solo a ciò che appare ma anche a ciò che significa. 
    É probabile che siano la bellezza e il potere di attrazione dell’immagine le cause responsabili di questa strana idea che un’opera d’arte sia statica.
    In realtà, è solo cercando di recepire dall’opera stessa e con giusto rilievo  le mie “sensazioni interiori” che posso affermare che l’opera d’arte non solo esiste perché si vede e si ammira, ma è anche dinamica e mutevole perché si adatta allo spirito di chi riesce a catturarne il significato che potrebbe anche essere equivalente alla inesauribile performance del tempo con il quale si relaziona, ai modi in cui questa si adatta ai tentativi di trasformazione prodotti nell’anima di coloro che la contemplano, ai modi in cui permette che le loro sensazioni la modifichino adattandola a loro stessi.
    Riconosco che per me, avvantaggiato dal fatto di vivere, quando dipingo,  in un “universo esclusivo”, è più facile essere in grado di concepire un’opera più o meno intensa a seconda dello stato d’animo anch’esso più o meno dinamico anche se, per compiere la complessa, difficile e tormentata operazione di materializzare un’idea in un dipinto, ho comunque bisogno degli stimoli “irrazionali” che mi arrivano dal mio spazio mentale in eterno conflitto esistenziale, vale a dire che ho bisogno della svalutazione dell’ordine logico delle cose, degli impulsi di ordine istintivo che mi arrivano da “dentro” e di usarli come strumento di convergenza, di  sollecitazione, di incitamento verso i miei interessi artistici.
    Sapendo perfettamente che l’opera d’arte è un territorio di contesa che non può essere ridotta a ciò che è, ma va considerata per ciò che vuol significare, ogni volta mi impegno a indirizzare il mio flusso compositivo verso la realizzazione di un’opera che, spero, riesca a trasmettere, a chi la guarda, la capacità di recepirla adattandola alle proprie istanze conflittuali cosicchè anche per l’utente, per il fruitore ultimo dell’opera d’arte, questa si trasformi da opera statica a opera dinamica.
    Nel mio lavoro creativo, dunque, è il mio modo di essere che comanda, il mio essere come sono che mi fa pensare all’opera navigando attraverso una moltitudine di sensazioni il più delle volte inappagate, di progetti mai realizzati o forzatamente abbandonati, di percorsi ancora da esplorare e da governare anche se caratterizzati da traiettorie mutevoli e incerte, di materiali e di tecniche recalcitranti, all’interno di uno spazio complesso, multivago e controverso, dove le sensazioni indotte vengono recepite, coinvolte e “costrette” all’interno di recinti dinamici e mai confinati.
    Solo così dunque, solo riuscendo a cogliere gli affanni e i tormenti che ho riversato nell’opera d’arte, se ne può affermare l’esistenza dinamica, che sarebbe equivalente a quello che ognuno riceve dall’opera d’arte, ai modi in cui ognuno adatta la sua dinamicità a se stesso, facendo sì che i suoi stati d’animo vengano assecondati oppure ostacolati.
    L’opera d’arte, appare allora composta di aperture e chiusure che permettono, o impediscono fino a cambiare, la metamorfosi interpretativa che rende  l’opera dinamica, con le sensazioni di ognuno che vi galleggiano liberamente intorno e dove le risorse, i riferimenti e le opinioni, sono tutti presenti, collegati in una rete aperta e mai statica.

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