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LA GOLA DEL FURLO
Leone Podrini
Sono alcuni anni, oramai, che mi reco con relativa regolarità al Furlo di Acqualagna.
Sto progettando un albergo per un imprenditore del luogo, ma tali e tante sono le problematiche e gli ostacoli burocratici da superare, che non varrebbe la pena continuare se non fosse per le piacevoli sensazioni che mi avvolgono ogni volta che arrivo alla centrale dell’Enel e aspetto il verde del semaforo per inoltrarmi nella gola.
E’ sempre la stessa piacevole sorpresa che si ripete, nonostante la familiarità con il luogo oramai acquisita nel tempo e nonostante la forra nella quale mi addentro sia ogni volta uguale perfino nel susseguirsi delle immagini che ti arrivano addosso perché il percorso è talmente ristretto e obbligato, da non consentire variazioni di veduta, come fotogrammi di uno stesso film visto e rivisto.
Le uniche differenze che si possono apprezzare, sono quelle conseguenti alle diverse stagioni che modificano il chiaro scuro del verde più o meno intenso e più o meno brillante e al mutare del tempo, con il sole che esalta la luce e i colori, la pioggia che fa luccicare le rocce, la nebbia che sale dal fiume e rende tutto ovattato e irreale, le nuvole fuggenti che attraversano la strada e proiettano la loro ombra nelle pareti rocciose a destra e a sinistra.
Da “fuori”, quando dalla superstrada ti appare la montagna che contiene la gola, il taglio che la divide in due non lascia intravedere nulla del suo interno; sono due rilievi fittamente ricoperti di vegetazione come le altre colline intorno.
Da “dentro”, lo squarcio mi evoca ogni volta l’immagine di due gigantesche mani che aprono la montagna lacerando la scorza verde del “fuori” e stracciando il ventre roccioso del “dentro” fatto di pietra bianca e rosa, delicata, morbida nell’aspetto, dolce come il fiume che scorre sul fondo, più in basso della strada, lento e silenzioso, quasi ridotto a un placido lago a causa della diga che ne ha interrotto l’originale irruenza che, nei secoli, ha scavato il botro.
Una volta dentro la gola, la pietra, mi corre al fianco, tanto che bisogna addirittura penetrarla attraverso la galleria fatta scavare dall’imperatore Vespasiano tra il 76 e il 77 d.C. e, via via che procedo, la roccia si anima, diventa viva, si frantuma in blocchi che diventano i muri delle case così che ho l’impressione che sia la roccia stessa ad accogliere le poche persone ancora rimaste a presidiare quel luogo unico ed emozionante.
E’ un tragitto che percorro lentamente, rallentando d’istinto per non violare la verginale natura del luogo con il rumore eccessivo del motore e per godermi, il più a lungo possibile, la sensazione di attraversare un ambito ancora pervaso da una storia antica anche se non apprezzata e messa opportunamente a frutto.
E infatti, quando arrivo al piazzale-parcheggio al limite del centro abitato, lo scenario cambia radicalmente e la negligenza intellettuale di chi dovrebbe aver cura di quella natura unica e magica, si palesa con prepotente evidenza.
E’ uno scenario nuovo; è un grande parcheggio dove il casottino abbandonato di un vecchio distributore di benzina, la mancanza di segnaletica che fa sembrare abbandonate le poche auto parcheggiate, qualche cassonetto per i rifiuti disordinato, una fermata dell’autobus che non si capisce se è in funzione, conferiscono al luogo caratteristiche di marginalità così spiccate che mi viene istintivo girarmi all’indietro e interrogarmi sulla reale presenza della meraviglia appena superata.
Per fortuna, anche se il fiume è scomparso dalla vista, la conferma mi viene dalla spaccatura della gola che si vede anche dal parcheggio e mi rendo subito conto che, lo spazio in cui mi trovo, è la conclusione del tutto inadeguata alla forra unica e potente che mi sono lasciato alle spalle.
E mi appare anche evidente che la conformazione allungata del nucleo urbano del Furlo, con la strozzatura della gola nella quale il tessuto edilizio si trova stretto tra le pendici dei monti Pietralata, Paganuccio e la via Flaminia che corre parallela al fiume Candigliano, individua una dimensione monocentrica del micro-tessuto edilizio stesso a causa della omogenea specializzazione funzionale delle sue parti che, se da un lato ne caratterizzano positivamente l’aspetto scenografico, dall’altro ne penalizzano le notevoli potenzialità per la mancanza di un uso non eterogeneo delle funzioni possibili.
Tale caratterizzazione non è di oggi, ma viene da un trascorso che ha tipologicamente configurato e definito quel piccolo agglomerato di case come “luogo di transito”, costruito solo per dare la possibilità al viaggiatore di fermarsi per riposare.
Non è cambiato nulla in questi anni in cui vengo piuttosto spesso al Furlo; ma non è cambiato nulla persino da quando ci venivo da giovane.
Questo è ovviamente penalizzante per un luogo così fortemente favorito dalla natura e, alla fine, questa “unica funzione” ha finito per determinare scarsa coesione sociale e spiccato disagio abitativo nei pochi residenti, a causa di una situazione di carenza di servizi di tipo generico e, soprattutto, di tipo specialistico relazionato alla vocazione naturale del sito che è indubbiamente quella legata al turismo naturalistico.
E’ questo, secondo me, che ha provocato la situazione di degrado ambientale che si è estesa all’intero nucleo abitato che, oggi, non presenta alcun elemento attrattivo che invogli il viaggiatore a fermarsi (naturalmente non in uno squallido parcheggio come quello nel quale mi trovo) e a rendersi conto che, magari in un’altra occasione, potrebbe essere interessante venirci per un periodo un po’ più lungo per apprezzare meglio le indiscutibili attrattive naturalistiche di questo luogo.
Che fare perché questo avvenga?
Non spetta a me stabilirlo perché non dispongo né del potere politico né di una bacchetta magica per trovare soluzioni adeguate ed efficaci.
Sarebbe però opportuno che chi ha poteri decisionali prendesse l’avvio dalla presa d’atto delle criticità dello stato attuale per delineare una strategia che abbia come obiettivo quello di colmare il limite unifunzionale di cui dicevo prima, con l’obiettivo finale di arrivare alla definizione di un sistema di interventi integrati capaci di continuare a tenere assieme questo luogo e riqualificarlo con una decisa specializzazione funzionale che tragga origine e forza dalla sua naturale vocazione turistico-naturalistica”.
Un recupero urbano ed economico di questa caratteristica parte del territorio, insomma, per evitarne il degrado per abbandono confermando, ovviamente, la necessità di non concedere deroghe alla tutela del paesaggio in quanto bene primario da non compromettere con interventi fuori scala o eccessivamente impattanti, perché quando si parla di vocazione turistico-naturalistica del “luogo Furlo”, significa che detta vocazione deve contenere in sé tutti gli elementi che favoriscano questo recupero turistico mettendo però in primo piano tutta la problematica del paesaggio che va considerato come un fenomeno culturale complesso di cui frequentemente, come generalmente accade, vengono colti solo alcuni aspetti.
Se ci facciamo caso, infatti, la concezione corrente identifica il paesaggio con gli ambiti inedificati del territorio dove é possibile godere di ampi panorami. Tuttavia, molto spesso, anche gli esperti nelle diverse discipline hanno contribuito alla circolazione di interpretazioni monotematiche riduttive. Così il geologo privilegia la morfologia della superficie terrestre - monti, pianure, fiumi ecc. e ritiene che i rischi che corre il paesaggio siano frane, alluvioni e terremoti, mentre per l'esperto dei fenomeni naturalistici, la qualità paesaggistica coincide con quella ecologica e i rischi che corre il paesaggio sono fondamentalmente l'inquinamento ambientale e la riduzione della biodiversità; per lo storico del territorio, infine, le tracce della storia insediativa costituiscono le qualità paesaggistiche prevalenti del territorio e i conseguenti rischi sono la perdita delle testimonianze materiali che ne documentano la cultura storica.
La natura complessa del paesaggio è invece compatibile con tutte queste interpretazioni a condizione che non si considerino singolarmente perché tutto il territorio deve essere preso in considerazione nei piani e programmi di valorizzazione paesaggistica, la cui attenzione non è più rivolta soltanto ai paesaggi ‘eccezionali', ma anche ai "paesaggi della vita quotidiana”, in coerenza con quanto introdotto nella legislazione italiana con la definizione di paesaggio che riprende, anche se non fedelmente, l'enunciazione della Convenzione europea integrandola con il concetto di "identità nazionale", di cui il paesaggio sarebbe la "rappresentazione materiale e visibile".
